
Materia prima e mezzo di queste oper-azioni è un “linguaggio non linguaggio, fatto di suoni, toni e cadenze privi di significato semantico, ma di immediata comprensione percettiva; un rapporto intimo, fondato su livelli di comunicazione limitati alla sfera preconscia”. Nello spazio raccolto e in penombra Ferrero porta in scena l’atmosfera antica del rito con 40 maschere africane, un software e un’ impianto in RGB; egli stesso lo definisce “un rito di luce fatto di dolci inquietudini, che ho trovato nei miei viaggi”. Infatti la danza della luce è accompagnata da suoni bivocali e gutturali, che richiamano i canti armonici tipici della tradizione sciamanica della Repubblica Popolare di Tuva, al confine con la Mongolia. L’aspetto più interessante di questa ritualità senza tempo è proprio nel legame tra suono e luce, spesso presente nelle culture antiche più evolute (come appunto quella di Tuva), dove il senso della performance shamanica è dato dal farsi sostanza del suono, che a sua volta richiama la luce divina per stabilire un contatto tra questa e la comunità. Analogamente ci sembra che il senso dell’installazione – rito serale di Richi Ferrero consista proprio in una sorta di “auscultazione”: attraverso il coinvolgimento psicofisico e l’affiorare degli archetipi antropologici universali, ognuno può ricondurre questa musica atavica ad un sentire intimo e in qualche modo pregresso. D’altronde questi suoni stimolano diverse aree della corteccia celebrale e rallentano il continuo lavorio mentale, provocando un rilassamento delle funzioni vitali e una rigenerazione del corpo. Questa condizione fisiologica nota anche come "punto di arresto" rende possibile il contatto tra la comunità e il grande suono della natura, poiché la struttura acustica dei suoni armonici corrisponde alla sequenza numerica di Fibonacci, ergo si basa sul rapporto aureo tra un numero e quello che lo precede, rapporto presente in molte forme della natura così come nelle proporzioni del corpo umano."
ArsKey Magazine, Annalisa Pellino 2010